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Un visionario alchimista, raggomitolato nell'alcova del suo soffitta/mondo, si lambiccava le meningi sperimentando arcane teorie, vergate in fragili incunaboli ammassati in altezze talmente mirabolanti da sfidare le fondamenta stesse della soffitta/mondo. L’obiettivo riluceva cristallino: liberare dal volgare flogisto la nobiltà delle cose che compongono il Mondo. Trasformare banali aggregati di materia in sconosciuti prodigi dalle doti inenarrabili.
Estenuante ricerca che, se approderà a buon fine, sancirà lo svanimento del suo artefice.
E se rivolgesse verso se stesso, il laborioso alchimista, la ponderosa mole di lavoro che tanto meticolosamente svolge? Talvolta si dimentica di mangiare, talvolta di bere. C’è da giurare che, al culmine delle sue ricerche, trascuri il fastidioso dettaglio che ci mantiene viventi: respirare.
Che accadrebbe dunque, se rivolgesse sulle vive carni tutto il suo immane sapere? Trasformare quel bizzarro conglomerato di viscere, sangue e neuroni in un accecante, inerte ed inutile cumulo d’oro. Forse zecchino...
Non sarebbe più nemmeno in grado di proiettare la diafana tremula ombra del suo macilento corpo, del tutto inteso a una ricerca che, se inverata, non farebbe che scomparire esso stesso.
È così evaporato, per restare in tema, il precetto che prevede l’ignoranza sempre con accezioni massimamente negative.
Questa piramidale e carsica dottrina sapienziale resti sepolta nelle pagine intonse di dimenticate biblioteche. Vanità delle vanità.
Mutare l’anima in polveri d’oro aumenterebbe a dismisura il valore nella stadera del mercante, ma renderebbe vulnerabile chiunque di fronte all’innocuo e odoroso refolo di maggio che ondeggia tra i pendii di ranuncoli gialli di pioggia e luce.
Sboccia la notte, il più delicato fiore nel giardino dei dubbi: è preferibile il raggiungimento di un’aurea eternità senza contezza di noi stessi? O siamo rassegnati ad accettare la carne vibrante di vita, pur essendo essa destinata a una distruzione inevitabile, costellata da angosce e dolori?
Tutto è vanità.
In scientiam meam evanesco.